martedì 29 settembre 2015

Articoli di Genetica Clinica/Umana Luglio 2015. R. Tenconi



Scelta di articoli di Genetica Clinica/Umana pubblicati in Luglio 2015 nelle seguenti riviste: British Medical Journal, Lancet, Lancet Neurology, Nature, Nature Biotechnology, Nature Genetics, Nature Medicine, Nature Neuroscience, Nature Reviews Genetics, Nature Reviews Neuroscience, NEJM, PNAS, Science & Cell.

ARTICOLI DA NON PERDERE
Identification of Genetic Factors that Modify Clinical Onset of Huntington’s Disease. Cell 2015;162:516. Altro interessante lavoro sui geni modificatori che influiscono sull’età di comparsa dei primi segni in questa malattia neurodegenerative (vedi A SNP in the HTT promoter alters NF-kB binding and is a bidirectional genetic modifier of Huntington disease. Nature Neuroscience 2015;18:807)(Articoli Giugno 2015 in cui è stato identificato un SNP raro nel promotore che se presente nell’allele mutato o in quello selvatico ritarda (di 10 anni) o anticipa (di 4 anni) la comparsa della malattia). Anche in questo lavoro si è voluto verificare mediante GWAS se vi siano varianti genetiche che influiscono sull’età di comparsa. Vi sono evidenze che l’effetto della mutazione della HD che agisce per tutta la vita è ritenuto del tipo di acquisizione di funzione e che l’età di comparsa dei segni sia almeno in parte ereditabile e non dovuta a varianti del gene HTT o alle dimensioni dell’espansione della tripletta CAG. Ma piuttosto a varianti funzionali che non sono causa di malattia ma che ne influenzano il lungo decorso. Identificato un locus sul cromosoma 15 che ha due effetti indipendenti di accelerazione (6.1 anni) o ritardo (1.4 anni) della comparsa dei segni ed uno sul cromosoma 8 che anticipa l’inizio di 1.6 anni, con alcuni geni candidati che sono coinvolti nel controllo e nella riparazione del DNA (MTMR10 e FAN1 sul 15; RRM2B, UBR5, MIR5680 e NCALD sul cr. 8). Minor associazione significativa con un altro gene interessante sul cromosoma 3, MLH1.
Possibili target per terapia.

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Factors influencing success of clinical genome sequencing across a broad spectrum of disorders. Nature Genetics 2015;47:717. Il sequenziamento dell’intero genoma (WGS) è sicuramente più efficace nell’identificare la mutazione causativa nel caso di malattie mendeliane rispetto all’analisi limitata a gruppi di geni di interesse (targeted) e dell’esomica (WES). Ma non ha ancora trovato una sua applicazione clinica per vari motivi: è costoso, richiede più tempo per la risposta, può dare risultati ambigui, ha ancora una non ben definita sensibilità e specificità e comporta senza dubbio un considerevole impegno informatico. Perché possa essere introdotto nella pratica clinica è necessario dimostrare il suo potere diagnostico per pz con varie patologie interessanti differenti specialità e in ambito ospedaliero.
E questo è quello che il lavoro ha cercato di precisare. Nell’ambito di un progetto WGS500 (analisi WGS di 500 pz con diverse malattie che coinvolgono diversi specialisti) , sono stati studiati con WGS 156 pz/famiglie con patologie mendeliane e immunologiche che si sospetta abbiano una forte componente genetica (anamnesi familiare, precocità o gravità) e che sono risultate negative ad uno screening genetico (non ho trovato cosa, ma guardando alla più recente voce bibliografica, n. 19, lo screening genetico è stato WES, linkage e associazione). Sono state adottate varie strategie che hanno migliorato l’interpretazione delle varianti trovate e la sensibilità e la specificità nell’identificazione di varianti di geni malattia candidati. Sono state individuate variante considerate causa di malattia in 33/156 casi (21%)(ricordo che erano negativi a precedenti analisi), inclusi 23/68 (34%) casi mendeliani e 8/14 considerando i casi con sospetta trasmissione AD o AR. La maggior parte delle varianti risiede nel gene e quindi individuabili con WES, ma in uno studio indipendente di 141 esomi 3 sedi su 33 non sono nell’esoma e altre 6 sono in un tratto esomico ma a bassa copertura. Rimangono però alcuni svantaggi con WGS, come la maggior probabilità nel caso di trasmissione AD di dovere poi effettuare valutazioni funzionali delle numerose varianti trovate e quindi il rischio di lasciare per lungo tempo il pz nell’elenco dei casi “aperti”.  Ogni persona ha più varianti possibilmente patogene che possono essere benigne o avere una penetranza variabile, la cui interpretazione può risultare difficile se non vi sono indicazioni di trasmissione della malattia. E quindi l’interpretazione del loro effetto potrà essere favorita solo dalla segnalazione della stessa in altri casi.
Incidental findings. Seguite le raccomandazioni ACMG (Genet. Med. 2013;15:565): trovate 32 varianti di 18 geni di possibile rilevanza clinica. Dopo prolungati controlli (letteratura e database) ne sono rimaste 6 di 4 geni, di cui 2 di incerto significato. La conclusione scontata: “Our results demonstrate the value of genome sequencing for routine clinical diagnosis but also highlight many outstanding challenges” e “Provision of this network may be challenging to establish in a clinical setting, but it will be an important aspect of successful translation of whole-genome sequencing into healthcare”.
E, importante e utile sottolineare, occorre “close collaboration between analysts, scientists knowl­edgeable about the disease and genes, and clinicians with expertise in the specific disorders” (applicazione clinica che richiede dunque il ricorso ad un’equipe multidisciplinare, non un referto spedito a casa, ndr).

MEDICINA DI PRECISIONE
Is precision medicine the route to a healthy world? Lancet 2015;386:336. Lettera all’Editore relativa ad un’altra lettera dell’Aprile 2015 (Is precision medicine the route to a healthy world? Lancet 2015;385: 1617) in cui si sostiene che la medicina di precisione sarà adottata ma sarà una medicina di nicchia e se verrà implementata eccessivamente sottrarrà risorse agli interventi sanitari a basso costo ed efficaci di salute pubblica. In questa lettera (European Alliance for Personalised Medicine, un A italiano) vengono portate le argomentazioni per le quali la medicina di precisione sarà predittiva, preventiva, personalizzata e partecipatoria (Medicina P4). Concordano con il suggerimento di aprire un ampio dibattito sul ruolo della medicina di precisione, sollecitando Lancet di rendere disponibile spazio a chi volesse intervenire.

CRISP GENE-EDITING TECHNOLOGY
Gene politics. Nature 2015;523:5. Sottitolo: US lawmakers are asserting their place in the human genetic-modification debate. Il 16 Giugno si è riuniti il Committee on Space, Science and Technology USA con un’audizione che comprendeva un biochimico di Berkley, uno degli inventori del sistema di genome editing e il presidente dell’ Institute of Medicine (IOM) per parlare dell’uso di CRIPR in campo umano.
Dibattito che è avvenuto in USA per la tecnica del “three-parent-baby” con la decisione se renderla possibile in USA, decisione che verrà presa entro il prossimo inverno dalla FDA.
In USA c’è un ampio dibattito sulla possibilità di consentire le modificazioni genetiche degli embrioni umani, non solo tra gli accademici, ma anche, come sta avvenendo ora, tra le varie istituzioni pubbliche, come quella che finanzia la FDA. Insomma, dice la sintesi, “This clause would be the first time that lawmakers have used the FDA to limit human embryo research”.

Standards needed for gene-editing errors. Nature 2015;523:158. Lettera che sollecita l’importanza di linee guida per definire, utilizzando il sistema di genome editing, le mutazioni di DNA fuori bersaglio e che invita chi lavora in questo campo a contribuire alla discussione sull’argomento (go.nature.com/ zncbil).

MALATTIE NEUROLOGICHE/NEUROMUSCOLARI/NEURODEGENERATIVE/PSICHIATRICHE
The human epilepsy mutation GABRG2(Q390X) causes chronic subunit accumulation and neurodegeneration. Nature Neuroscience 2015;18:988.  Le epilessie genetiche, che sono frequentemente dovute a mutazione di geni dei canali ionici, sono in gran parte relativamente benigne. Vi sono però delle encefalopatie epilettiche, tra cui la s. Dravet, con crisi epilettiche non trattabili, alterato sviluppo psico-motori, deficit cognitivo e mortalità precoce. Di queste ultime condizioni non si conoscono i meccanismi patogenetici, né vi sono specifiche possibilità terapeutiche. Gli AA hanno già riportato che varie mutazioni, in particolare Q390X (nota anche come Q351X), in eterozigosi del gene del recettore GABAA (GABRG2), che sono una causa della s. Dravet, determinano un malripiegamento proteico e un alterato traffico recettoriale. In questo lavoro utilizzando un modello murino con KO di Gabrg2 (Gabrg2 +/Q390X) si dimostra che oltre all’alterata neurotrasmissione inibitoria tale mutazione causa un accumulo e aggregati intracellulari, attiva la caspasi 3 (endoproteasi specifica, ndr) ed è associata ad una diffusa neurodegenerazione età-dipendente. Quindi questa mutazione di questo gene dell’epilessia severa causa un processo patogenetico simile a quello della neurodegenerazione. E quindi eventuali terapie per la neurodegenerazione potrebbero essere applicate anche nelle encefalopatie epilettiche.

Multiple system atrophy in the USA: another piece in the jigsaw. Editoriale che commenta un articolo sulla stessa rivista (Lancet Neurology 2015;14:672. Natural history of multiple system atrophy in the USA: a prospective cohort study. Pg.710) sulla storia naturale dell’Atrofia multisistema (prevalenza 3.4 - 4.9 casi: 100.000, e per età >40 anni di 7.8:100.000), una rara e complessa patologia neurodegenerativa progressiva caratterizzata da una variabile associazione tra segni parkinsoniani, cerebellari, autonomici, e piramidali e include entità cliniche come l’atassia olivo-ponto-cerebellare, la Degenerazione striato-negrale e la s. Shy-Drager sulla base degli aspetti neuropatologici che sono aggregati citoplasmatici di α-sinucleina (vedi anche bellissima review Multiple-System Atrophy. NEJM 2015;372:249)(selezione articoli Gennaio 2015). Nell’articolo su Lancet Neurology gli AA hanno seguito per oltre 5 anni con valutazioni ogni 6 mesi 175 pz con questa malattia.

CHCHD2 and Parkinson’s disease. Lancet Neurology 2015;14:678. Serie di lettere all’Editore relative ad un articolo pubblicato lo scorso Marzo (vedi selezione articoli) sulla stessa rivista (CHCHD2 mutations in autosomal dominant late-onset Parkinson’s disease: a genome-wide linkage and sequencing study. Lancet Neurology 2015;14:274) in cui in sono state individuate rare varianti del gene CHCHD2 ritenute causative sia di casi familiari che sporadici di Parkinson ad inizio sui 50 anni e sensibile a Levodopa; si ipotizza che tale gene sia coinvolto nella respirazione mitocondriale. Nella prima lettera uno studio genetico su un ampio campione di persone di origine europea affetti da Parkinson non sono state trovate le varianti segnalate nella popolazione asiatica, facendo pensare che vi siano differenze etniche. Sono state però trovate con WES altre 3 varianti del gene in 4 pz con Parkinson (<1%) ritenute causative: 2 pz in USA con età di insorgenza a 39 e 51 anni con bradicinesia e tremori a riposo e 2 pz francesi con inizio dei segni a 20 e 39 anni. CHCHD2 non sembra quindi essere un fattore di rischio comune del Parkinson. Nella seconda lettera in famiglie USA e nordeuropee con clinica di parkinsonismo, tremore essenziale, sindrome delle gambe senza riposo e depressione non sono state trovate varianti di CHCHD2. Si suggerisce uno screening nel tremore essenziale. Nella terza lettera si sottolinea che in generale lo screening mediante GWAS nel Parkinson non ha individuato significative varianti associate alla patologia nella popolazione di discendenza europea. Data la sovrapposizione clinica del Parkinson con l’Alzheimer hanno applicato la stessa metodologia in quest’ultima patologia, sempre di discenti europei, con analogo risultato. Nella quarta lettera si mette in dubbio la patogenicità delle varianti trovate. Nella quinta, uno studio su popolazione cinese replica quanto trovato nell’articolo di riferimento nella popolazione giapponese.
La risposta: si conferma che mutazioni di CHCHD2 sono rare con frequenza differente nelle varie popolazioni e che sono causa non comune di Parkinson familiare e un fattore di rischio di Parkinson sporadico.

Glitazones are associated with reduced risk of Parkinson’s disease.BMJ 2015;351:h3949. Da uno studio basato sulla consultazione delle cartelle cliniche di diabetici durato 14 anni risulta che il ricorso come farmaco antidiabetico ai glitazoni (chiamati anche tiazolidindioni), come Rosiglitazone o pioglitazone, riduce significativamente il rischio di sviluppare il Parkinson, rispetto all’uso di altri antidiabetici (Glitazone treatment and incidence of Parkinson’s disease among people with diabetes: a retrospective cohort study. PLoS Med 21 Jul 2015, doi:10.1371).
Questi farmaci attivano la proliferazione del recettore PPARγ (recettore attivato dai proliferatori dei perossisomi) che sappiamo determina una riduzione della resistenza all’insulina, recettore presente in molti organi probabilmente con molte funzioni che ancora non conosciamo. La ricerca per la prevenzione di questa malattia neurodegenerativa potrebbe indirizzarsi verso l’identificazione di molecole, come i glitazoni, che attivano il recettore PPARγ.

A lipid switch unlocks Parkinson’s disease associated ATP13A2. PNAS 2015;112:9040. Il benessere dei neuroni dipende da una ottimale funzione lisosomiale con eliminazione di proteine ed organelli per autofagia e successiva loro degradazione. La s. Kufor–Rakeb (KRS)(MIM #606693) è causa di un Parkinson a trasmissione AR da mutazioni del gene ATP13A2/PARK9 che comporta disfunzione dei lisosomi con ridotta acidificazione lisosomiale, ridotta degradazione dei substrati lisosomiali, alterato flusso autofagico e accumulo di frammenti mitocondriali.  Nel lievito la sovraespressione dell’ortologo di questo gene protegge dalla tossicità della α-sinucleina, principale proteina dei corpi Lewy che sono anomali aggregati proteici nelle cellule nervose del Parkinson. Questo ruolo protettivo di ATP13A2 sulla tossicità della α-sinucleina è osservabile anche nella cellule nervose della C. Elegans e del ratto. In questo studio si individua un dominio idrofobico N-terminale del prodotto di questo gene che specificamente riconosce segnali lipidici che aumentano la protezione cellulare allo stress mitocondriale. Quindi informazioni utili per capire la funzione di questo gene e suggerimenti per stimolarne la funzione a fini terapeutici.

Alzheimer’s amyloid theory gets modest boost. Science 2015;349:464. Dopo anni di delusioni nella ricerca di una terapia dell’Alzheimer i risultati di due sperimentazioni (Fase II) con farmaci anticorpali anti β amiloide (Solanezumab della Eli Lilly e Aducanumab di Biogen) incoraggiano un cauto ottimismo, anche se ci sono ancora dubbi che funzioni e soprattutto occorrono nuovi test. L’ironia inglese traduce bene cosa ne pensano in molti sugli attuali risultati presentati dalle due compagnie (Hopes rise for new Alzheimer’s drug after secondary analysis.BMJ 2015;351:h4048): “These reports are good news in the same way that a forecast of sunny weather at the weekend is good news. It raises hopes for good weather, but it does not mean good weather is a certainty”.  Risulta che il ricorso a questi farmaci rallenti del 34% il declino cognitivo nell’Alzheimer di media gravità e, limitatamente  ad Aducanumab, anche l’accumulo di amiloide cerebrale. E’ in programma nei prossimi mesi un’altra sperimentazione in fase III con un vaccino anti β amiloide in persone normali portatrici di una variante di APOE4 a rischio di Alzheimer. E un’altra con il ricorso a un inibitore BACE che ha come bersaglio un enzima coinvolto nella produzione di amiloide, sempre in asintomatici a rischio.
Qualche nota di cautela nel puntare tutto sul controllo dell’amiloide, perché non dobbiamo dimenticarci della proteina tau altrimenti “If we go all in on β amyloid and ignore other therapeutic approaches, that will be devastating”.

Massive accumulation of luminal protease-deficient axonal lysosomes at Alzheimer’s disease amyloid plaques. PNAS 2015;E3699. Le placche amiloidee, tipica neuropatologia dell’Alzheimer, sono costituite da un nucleo di β-amiloide circondato da tessuto ricco di organelli simili a lisosomi. Per capire come si formano queste placche si è studiata l’origine cellulare e la composizione di questi organelli.
I depositi extracellulari di β-amiloide risultano dovuti ad un alterato trasporto assonale retrogrado che causa un accumulo di precursori dei lisosomi e un blocco della loro ulteriore maturazione che influisce sia sulla produzione che sullo smaltimento di  β-amiloide.
Questi risultati sulla organizzazione subcellulare dei lisosomi neuronali potrebbero avere un ampio impatto,  come nuove opportunità terapeutiche che limitino il processo amiloidogenico in questa e in altre malattie neurodegenerative con componente lisosomiale.

Activation of peroxisome proliferator-activated receptor α stimulates ADAM10-mediated proteolysis of APP. PNAS 2015;112:8445. Una tappa patogenetica ritenuta importante nell’Alzheimer è costituita dal clivaggio della proteina precursore amiloide (APP) per formare la proteina β-amiloide (Aβ), componente principale delle placche senili. L’α-secretasi disentigrina e metalloproteinasi 10 (ADAM10) suddivide APP in modo tale da impedire la formazione di Aβ (ADAM10 Missense Mutations Potentiate b-Amyloid Accumulation by Impairing Prodomain Chaperone Function Neuron 2013;80:385)(selezione articoli Novembre 2013). Nel modello murino si dimostra che PPARα (un recettore attivato dai proliferatori dei perossisomi), un fattore di trascrizione che regola i geni del metabolismo degli acidi grassi, modifica l’espressione di ADAM10: topi carenti di questo fattore di trascrizione hanno ridotta espressione di ADAM10 producono a livello cerebrale maggior quantità di placche Aβ ed hanno una minor sopravvivenza. Nel modello murino di Alzheimer la carenza di PPARα aumenta ancor di più l’accumulo di queste placche. Si dimostra che il farmaco Gemfibrozil (che stimola PPARα ed usato nelle dislipidemie) e l’ac. retinoico sono in grado di stimolare ADAM10 aumentando così il clivaggio di APP.
Un nuovo ruolo quindi per PPARα e quindi una potenziale proteina bersaglio per la terapia dell’Alzheimer.

MIR137: big impacts from small changes. Nature Neuroscience 2015;18:931. Commento di un articolo sullo stesso fascicolo (The schizophrenia risk gene product miR-137 alters presynaptic plasticity. Pg. 1008) su un SNP associato alla Schizofrenia, patologia con forte base genetica (prevalenza 1% della popolazione, rischio di 10 volte per parenti di primo grado, concordanza gemelli MZ del 50%). Lo SNP fiancheggia il gene MIR137 che codifica microR­NA-137 (miR-137), ma vi sono altri SNP o CNV che lo fiancheggiano che sono associati a questa patologia. In questo lavoro si dimostra che SNP correlati con la Schizofrenia alterano l’espressione di miR-137 nei neuroni e questo interessa il rilascio delle vescicole a livello dei terminali presinaptici con alterata funzione ippocampale. Come possibile applicazione pratica quanto provato potrebbe portare all’individuazione di un marker o di un test con valore predittivo di Schizofrenia analizzando neuroni di derivazione da fibroblasti.

Expanding neurodegeneration modelling. Nature Reviews Neuroscience July 2015;16. Commento di un articolo (vedi selezione articoli Giugnio 2015. C9ORF72 repeat expansions in mice cause TDP-43 pathology, neuronal loss, and behavioral deficits. Science 2015;348:1151) in cui si annuncia l’uso di uno specifico modello murino (G4C2)66  per la Demenza fronto-temporale e la Sclerosi Laterale amiotrofica. Il modello ricapitola i fenotipi fisiopatolgoici e comportamentale di questa patologia e propone approcci terapeutici che sono in grado di mitigare non solo le patologie da espansione esanucleotidica di C9ORF72 ma anche quelle dell’altro pathway TDP43.

DEPRESSIONE
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First robust genetic links to depression emerge. Nature 2015;523:268. La depressione maggiore, una delle più frequenti (ne sono affetti più di 350 milioni di persone) cause di disabilità globale la cui grande variabilità dei segni clinici e gravità unita alle differenze di genere ha sempre fa pensare ad un’ampia eterogeneità causale. Dopo anni di tentativi andati a vuoto di individuarne la base genetica della depressione, uno studio nella popolazione cinese Han mediante analisi dell’intero genoma è stato in grado di individuare due regioni associate a questa patologia (Sparse whole-genome sequencing identifies two loci for major depressive disorder. Pg. 588). Perché nella popolazione cinese? Perché essendo in Cina la patologia sotto diagnosticata con pz che quindi hanno la forma più grave (infatti l’85% sono risultati affetti dalla forma più severa, chiamata Malinconia), applicando le attuali tecniche genomiche vi è una  maggior probabilità di individuarne la causa. Sono state studiate con GWAS a bassa copertura 5.303 donne cinesi e 5.337 controlli e trovati due loci che contribuiscono al rischio di depressione maggiore, uno vicino al gene SIRT1 (importante per la funzione mitocondriale)(vedi anche SIRT 1 and anxiety. Nat Genetics 2012;44:120, selezione pubblicazioni Febbraio 2012) e l’altro in un introne del gene LHPP (a funzione non nota, non menzionato in OMIM). Tale associazione è stato poi confermata in un altro ampio campione indipendente di pz (3.000 pz maschi e femmine e 3.000 controlli). Gli AA attribuiscono il successo della loro ricerca alla selezione della popolazione in studio. Il primo passo verso una terapia farmacologica per una condizione in cui le terapie attuali sono scarsamente efficaci. Vedi anche Associations with depression. Nature 2015;523:539 che così termina: “The authors’ study marks the beginning of the beginning for the genetic dissection of MDD” (Depressione maggiore).

AUTISMO
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FOXG1-Dependent Dysregulation of GABA/Glutamate Neuron Differentiation in Autism Spectrum Disorders. Cell 2015;162:375. Dell’80% dei casi di autismo non si riesce ad individuarne la causa. In una piccola proporzione di pz con la forma sindromica e non sindromica sono identificabili rare mutazioni. Dal punto di vista patogenetico si ritiene che, pur con una enorme varietà di possibili cause di questa frequente patologia, tutte comunque determinano alterazioni della formazione delle connessioni sinaptiche e/o uno sbilanciamento della neurotrasmissione eccitatoria ed inibitoria. In questo lavoro si sono utilizzate le cellule staminali pluripotenti indotte di 4 famiglie con un pz affetto per produrre organoidi telencefalici in tre dimensioni che ricapitolano i programmi trascrizionali presenti nel corso dello sviluppo fetale (9-16 sg) corticale. Questi organoidi sono stati studiati mediante analisi trascrittomica genome-wide. Le colture di organoidi ottenuti dai pz hanno più neuroni che producono la molecola di segnale GABA che inibisce l’attività neuronale rispetto ai controlli (familiari sani). La sovraproduzione di questa molecola è dovuta a sua volta ad una sovraespressione del gene FOXG1, che nei pz ha una sequenza normale. Correggendo con interferenza dell’RNA questa sovraespressione, si riduce la crescita di neuroni GABAergici. Da sottolineare che i 4 pz non hanno anomalie genomiche comuni, ma tutti hanno una forma grave con macrocrania. In sintesi questi risultati portano a ritenere che nell’autismo vi siano fattori genetici rari o frequenti che convergono in un meccanismo patogenetico comune. E aver individuato un possibile meccanismo patogenetico costituisce il primo e importante passo per individuare una cura.

GENETICA UMANA/CLINICA
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Paternally Inherited IGF2 Mutation and Growth Restriction. NEJM 2015;373:349. GF-II è un ormone membro della famiglia IGF, Insulin-like Growth Factors). IGF-I e IGF-II regolano la crescita somatica e la proliferazione cellulare legando e attivando il recettore IGF-I (IGF-IR). Mutazioni di IGF1 (MIM#608747) e di IGF1R (MIM #147370 causano deficit di crescita pre e postnatale, con modalità di trasmissione rispettivamente AR e AD (vedi bella Tab. 1 con confronto fenotipico tra queste due condizioni e con pz con s. Sliver-Russel con ipometilazione di ICR1). Nel topo alterazioni di Igf2 hanno effetto sesso specifico in quanto è espresso solo nel maschio e non nella femmina e causa deficit di crescita, e quindi da considerare un gene con effetto imprinting. Sappiamo che alterazioni molecolari della regione 11p15.5, che comprende IGF2, causano la s. Silver-Russell (SRS, MIM #180860), sindrome con importante deficit di crescita che di ritiene sia dovuto al coinvolgimento di IGF2. In questo lavoro viene presentata una famiglia con 4 persone di più generazioni con fenotipo simile a quello della s. Silver-Russell (anche alcuni aspetti del viso la richiamano molto, ndr), soprattutto con deficit di crescita intrauterina e postnatale. Dopo aver testato le varie cause della SRS (UPD mat, ipometilazione IGR1, CNV e mutazioni di CDKN1C) è stato applicato WES trovando una mutazione nonsenso di IGF2 in eterozigosi cosegregante con la malattia solo in coloro che avevano ricevuto la mutazione dal padre, sano, che l’aveva ricevuta a sua volta da sua madre, sana. Il che ha portato a concludere che IGF2 è un gene con imprinting materno. La proteina mutante è più corta del 30% della proteina mutante e non contiene i siti di legame dei recettori di IGF-I, IGFII, ma comunque in quanto tronca viene probabilmente rapidamente degradata. Nei pz vi sono però livelli ridotti e non assenti di IGF-II, probabilmente per espressione epatica dell’allele materno.
Gli AA suggeriscono, data la somiglianza fenotipica, che alcuni segni clinici della SRS siano dovuti all’insufficienza di IGF2. Potrebbe essere indicata nei casi descritti la terapia con ormone della crescita ricombinante. E potrebbe essere indicato forse anche il ricorso al trattamento con IGF-II ricombinante.

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Lipid transport and human brain development. Nature Genetics 2015;47:699. Commento di due articoli sullo stesso fascicolo (Inactivating mutations in MFSD2A, required for omega-3 fatty acid transport in brain, cause a lethal microcephaly syndrome. Pg. 809 e A partially inactivating mutation in the sodium-dependent lysophosphatidylcholine transporter MFSD2A causes a non-lethal microcephaly syndrome. Pg. 814) sue due diverse osservazioni di mutazioni inattivanti il gene MFSD2A, che è espresso specificamente nella barriera emato-encefalica (BBB), causa di microcefalia, spiegando in modo sorprendentemente semplice un vecchio enigma: in che modo si forma e si accumula nel SNC una gran quantità di lipidi (che costituiscono il 50% del peso secco dell’encefalo, il secondo organo, dopo il tessuto adiposo, a contenuto lipidico) necessari per la formazione delle membrane cellulari? Quale ne è il meccanismo di trasporto? Recentemente è stato osservato che nel topo la delezione di Mfsd2a compromette il trasporto di lisofosfatidilcoline (LPC) (in gran parte di DHA, omega-3 fatty acid docosahexaenoic acid), che sono il costituente lipidico cerebrale e di altri acidi grassi a lunga catena compromettendo la crescita e la funzione cerebrale. In questi due lavori si dimostra che mutazioni di MFSD2A sono causa di sindromi microcefaliche sottolineandone così il ruolo critico nel trasporto di lipidi attraverso la BBB e la sua importanza per la crescita e funzione cerebrale.
Nel primo lavoro in due famiglie africane con genitori consanguinei sono state individuate con WES mutazioni inattivanti in omozigosi del gene MFSD2A. Il meccanismo patogenetico è da insufficiente uptake lipidico. La clinica è di una microcefalia letale con importante dilatazione dei ventricoli laterali ed estremo assottigliamento della superficie corticale, ipoplasia/atrofia cerebellare e del tronco.
Nel secondo lavoro viene descritta una famiglia pachistana con 10 affetti da una condizione progressiva ma non letale di microcefalia, tetraparesi spastica, deficit cognitivo ed assenza di parola. Tramite mappatura per omozigosi e WES è stata trovata una mutazione del gene MFSD2A che riduce ma non abolisce (questo potrebbe essere la spiegazione della differente gravità clinica nelle due famiglie, ndr) il trasporto lipidico, con significativo incremento plasmatico di LPC che contengono catene aciliche di grassi mono- e polinsaturi, indicatore di ridotto uptake cerebrale. Queste sono le prime descrizioni di una malattia nell’uomo da alterato trasporto di LPC.

Double trouble in human aneuploidy, Nature Genetics 2015;47:696. Commento di un articolo (Genome-wide maps of recombination and chromosome segregation in human oocytes and embryos show selection for maternal recombination rates. Pg. 727) in cui, per tentare di comprendere come originano le aneuploidie, sono stati analizzati i genomi di tutti 3 i prodotti meiotici, i due  corpi polari (PB) e l’oocita (trio-PB) e dell’embrione, questo per ovviare ai “missing data” cioè a quanto succede nella prima divisione meiotica (errori di alterato appaiamento e ricombinazione reciproca tra omologhi con successiva non disgiunzione) e nelle prime fasi dello sviluppo dell’embrione. La tecnica adottata è stata di analisi whole genome con SNP. Analizzati 10 embrioni e trio-PB da ICSI nel corso dello screening genetico preimpianto (la motivazione clinica era per ripetuta abortività, lo screening riguarda le aneuploidie) e 13 trio-PB generati non da fertilizzazione ma da attivazione con calcio ionoforo che induce il completamento della meiosi II e l’estrusione del secondo PB ottenuti da 5 donatrici di uova non fertilizzate nel corso di trattamenti per l’infertilità. E’ stato anche analizzato un ulteriore campione di 29 embrioni senza PB sottoposti in precedenza a diagnosi genetica preimpianto. Come risultato si è osservato che gli errori meiotici sono la principale causa di aneuploidia, escludendo l’ipotesi che il mosaicismo germinale cromosomico sia il fattore principale delle trisomie legate all’età materna. Si è osservato poi che vi è: 1. un nuovo meccanismo, chiamato “reverse chromosome segregation” (la divisione equazionale precede la segregazionale) in cui ambedue gli omologhi separano i loro cromatidi fratelli alla meiosi I, evento seguito dalla risoluzione del crossing over e segregazione dei cromosomi omologhi alla meiosi II; 2. una selezione di un maggiore tasso di ricombinazione nella linea germinale femminile per eliminare gli embrioni aneuploidi; si è infatti dimostrato che bassi tassi di ricombinazione portano ad un rischio di aneuploidia; 3. un drive meiotico nei confronti di cromatidi ricombinanti alla meiosi II. In conclusione è stato osservato che la ricombinazione non interessa solo la segregazione degli omologhi in MI, ma anche il destino dei cromatidi fratelli alla MII.

Genome-wide patterns and properties of de novo mutations in humans. Nature Genetics 2015;47:822. Sinteticamente, inizia l’abstract “Mutations create variation in the population, fuel evolution and cause genetic diseases”. Quello che sappiamo deriva da studi sugli organismi modello, su malattie mendeliane dominanti pienamente penetranti e da approcci di genomica comparativa e di genetica di popolazione. Le tecniche più recenti di sequenziamento dell’intero genoma hanno consentito di individuare le mutazioni de novo germinali il cui tasso cresce con il crescere dell’età paterna, varia da sede a sede in lieve correlazione con le varie proprietà epigenetiche ed è più alto nelle regioni genomiche conservate, tra cui gli esoni. In questo lavoro vengono analizzate 11.020 mutazioni de novo nel genoma di 250 famiglie (trio) olandesi mediante WGS su sangue periferico. Utilizzando i dati di gemelli MZ, che fanno parte di questo campione, si stima che il 97% delle mutazioni sono germinali e solo il 3% somatiche. L’età paterna spiega il 95% del tasso di mutazione con un aumento, come noto, di una o due mutazioni per anno di età paterna, incremento che si ritiene sia dovuto alle continue divisioni cellulari nella spermatogenesi che iniziano nella vita embrionale e continuano per tutta la vita. Non solo, ma queste mutazioni interessano più frequentemente regioni geniche a precoce replicazione che hanno una più alta densità ed elevata espressione rispetto a quelle a replicazione tardiva. Quindi le mutazioni nei figli dei padri più anziani non solo sono più frequenti ma anche a maggior probabilità di conseguenze funzionali. Comunque le mutazioni de novo, indipendentemente dall’età paterna, sono più frequenti nelle regioni genomiche funzionali. Le mutazioni sono poi distribuite in modo non casuale, nella stessa persona o tra persone diverse. E’ stato preparato con questo lavoro il più completo catalogo delle mutazioni de novo in persone sane e presentati i numerosi meccanismi che influenzano la distribuzione delle mutazioni nel genoma.

Mutations in the unfolded protein response regulator ATF6 cause the cone dysfunction disorder achromatopsia. Nature Genetics 2015;47:757 (alcuni AA italiani, bravi. Ndr). L’acromatopsia congenita (distrofia dei coni) è una rara patologia ereditaria (1:33.000 persone) con cecità ai colori, netta sensibilità alla luce e bassissima acuità visiva. Malattia genetica AR eterogenea (ACHM2 MIM #216900; ACHM3 MIM #262300, ACHM4  MIM #613856, ACHM5/COD4 MIM #613093 e ACHM6/RCD3A MIM #610024) caratterizzata da (http://www.acromatopsia.it/?page_id=213) assenza della funzione dei coni, i fotorecettori della luce, prevalentemente concentrati nella macula che permettono di adattarsi alla luce, percepire i colori e distinguere i dettagli fini. C’è una forma più rara, incompleta, in cui è parzialmente conservata, anche se ridotta, la funzione dei coni con una visione residua dei colori e una migliore acuità visiva.
In questo lavoro dopo l’individuazione mediante linkage (consanguineità dei genitori) e WES in una famiglia irlandese di un gene (ATF6), sono stato sottoposti a WES e screening del gene candidato 301 pazienti e sono stati individuate mutazioni di questo gene in altri 15 pz di 9 famiglie, per un totale quindi di 18 pz di 10 famiglie indipendenti. Le mutazioni sono in omozigosi (in 6) o come composto eterozigote. In 16 pz è presente la forma completa, in 2 invece la forma incompleta. Clinicamente nistagmo e fotofobia dalla nascita, netto deficit visivo, ERG fotopico normale e scotopico non rilevabile, retina normale con macula da normale ad atrofica, segnalata alla SD-OCT ipoplasia foveale ed numerose altre indagini; da sottolineare che in 4 pz è stata diagnosticata ipoacusia neurosensoriale. Il gene ATF6, membro della famiglia ATF/CREB, è un regolatore del pathway UPR (unfolded protein response, pathway che ne diminuisce la quantità) necessario per mantenere la funzione del reticolo endoplasmatico e l’omeostasi cellulare. Le mutazioni trovate riducono l’attività trascrizionale di ATF6 in risposta a stress del RE. Il topo Atf6 -/- ha una retina e una funzione retinica normale in età giovanile e poi sviluppa in età adulta distrofia dei coni e dei bastoncelli. Tutto questo indica che ATF6 ha un ruolo importante nello sviluppo della fovea e nella funzione fotorecettoriale.

microRNAs and inherited retinal dystrophies. PNAS 2015;112:8805. Commento molto bello dell’articolo (MiR-204 is responsible for inherited retinal dystrophy associated with ocular coloboma. PNAS 2015;112:E3226)(selezione articoli Giugno 2015). Nel complesso le distrofie retiniche ereditarie sono un gruppo di patologie frequenti (~200.000 affetti in USA) e geneticamente eterogenee, sinora sono noti 272 loci e 232 geni codificanti proteine (https://sph.uth.edu/Retnet). I miRNA sono piccoli RNA non codificanti che hanno un ruolo nella regolazione fine dell’espressione genica postraduzionale. Ma nonostante da tempo ne conosciamo l’esistenza e la funzione sono poche le malattie mendeliane da una loro mutazione, come due recenti segnalazioni di una mutazione puntiforme di miR-184 causa di una patologia oculare con cheratocono familiare e cataratta in un caso e displasia del segmento anteriore con distrofia endoteliale, ipoplasia iridea, cataratta congenita e assottigliamento stromale nel secondo. Suggerendo quindi un ruolo di miRNA nella patologia congenita oculare e in particolare del suo segmento anteriore. Nel lavoro vengono riportate le basi molecolari di un fenotipo composto da degenerazione retinica e coloboma oculare da mutazione dominante (5 generazioni) di miR-204 con un meccanismo di acquisizione di funzione. Interessante e significativo il risultato della previsione di geni target di miRNA-204: quando mutato 442 di questi geni target non lo sono più, rimangono solo 133 geni target in comune con la forma selvatica e vengono invece acquisiti 994 nuovi geni target tra cui geni dello sviluppo oculare, della funzione sinaptica, dell’adesione cellulare, della guida assonale, dell’asse dorsoventrale e della risposta cellulare allo stress.
Mutazioni di miRNA-204 dovrebbero far parte dello screening diagnostico delle distrofie retiniche ereditarie. E si suggerisce di verificare in futuri studi se mutazioni di altri miRNA possano essere causa di queste patologie.

Transcriptional regulator PRDM12 is essential for human pain perception. Nature Genetics 2015;47:803. La sensibilità al dolore è un meccanismo di difesa per evitare danni tissutali e situazioni o ambienti pericolosi.  D’altra parte l’eccesso di sensibilità porta ad altre situazioni sfavorevoli e vere e proprie patologie per le quali non ci sono per ora complete soluzioni terapeutiche, che potrebbero essere possibili grazie agli studi di famiglie con insensibilità al dolore (CIP). Interessante il modo per arrivare al gene-malattia in questo studio sul CIP a trasmissione AR. Analizzate due famiglie in cui sono state escluse mutazioni dei geni noti di CIP e dei geni della Neuropatia sensoriale e autonomica tipo IV e V (HSAN) che hanno segni simili a CIP: nella prima famiglia, di consanguinei, la mappa di omozigosità ha consentito di isolare una regione del cr. 9 con 150 geni e WES senza un risultato significativo, mentre nella seconda famiglia è stata individuata omozigosità di un gene, PRDM12, localizzato nella regione candidata. L’analisi Sanger del gene nella prima famiglia ha individuato un’espansione trinucleotidica in omozigosi in tutti i pz.
Sono state poi studiate altre due famiglie con pz CIP in cui è stata individuata una mutazione biallelica di PRFM12 negli affetti. L’analisi è stata poi estesa ad altri 158 pz con CIP AR o sporadico o con HSAN e sono state trovate altre mutazioni, in prevalenza missenso, dello stesso gene in 7 probandi (in totale 11 famiglie CIP con mutazioni del gene PRDM12).
Il fenotipo è quello noto: incapacità congenita di percepire dolore acuto o infiammatorio e incapacità di percepire il caldo o il freddo, con conseguenti mutilazioni. L’analisi istologica della biopsia cutanea, eseguita ad alcuni pz anni prima a scopo diagnostico, ha mostrato assenza di fibre nervose che normalmente attraversano la membrana basale per innervare l’epidermide che costituiscono i nocicettori e i termocettori terminali. Con studi in vitro e in vivo si dimostra che il gene è un fattore importante nella neurogenesi sensoriale, possibile bersaglio per future terapie.

Mutation switches ligand specificity: Science 2015;349:1066. La Fibrodisplasia ossificante (MIM #135100) è una malattia genetica rara e letale in quanto comporta una progressiva immobilità e decesso per insufficienza respiratoria. E’ caratterizzata dalla crescita di tessuto osseo al posto di tessuti molli dovuta a mutazioni in eterozigosi del domino intracellulare di ACVR1 (Activin A Receptor, type II-like kinase 2), recettore di BMP (Bone Morphogenetic Protein), che fa parte dei fattori di crescita polipeptidici che comprendono TGF-β e molte proteine morfogenetiche dell’osso. Si ritiene che le mutazioni causative di FOP determino un aumento dell’attività recettoriale stimolando la formazione dell’osso. Dal lavoro che viene commentato (ACVR1R206H receptor mutation causes fibrodysplasia ossificans progressiva by imparting responsiveness to activin A. Sci. Transl. Med.2015; 7:303ra137)(non ho il testo completo) risulta invece un altro meccanismo patogenetico: il recettore mutato (mACVR1) risponde all’Activina, che normalmente blocca BMP legandosi a ACVR1. Infatti nel modello murino adulto l’espressione di mACVR1 determina una ossificazione eterotopica che richiede la stimolazione dell’Activina endogena, ossificazione che non si produce se si tratta il topo con anticorpi monoclonali contro l’Activina A.
Questo nuovo meccanismo spiegherebbe perché nei pz con FOP l’ossificazione è stimolata da traumi, che inducono Activina. Suggerito così un potenziale approccio terapeutico con anticorpi anti Activina A.

Germline HABP2 Mutation Causing Familial Nonmedullary Thyroid Cancer. NEJM 2015;373:448. Il cancro tiroideo non midollare rappresenta il 3-9% dei tumori maligni della tiroide, ma poco si conosce sui geni responsabili di suscettibilità per questa patologia. Descritta una variante del gene HABP2 (Hyaluronan-Binding Protein 2) identificata con WES, in una famiglia con 7 membri affetti, variante trovata anche nel 4.7% di pz con cancro tiroideo. Nel tessuto tumorale di pz con la forma familiare la proteina HABP2 è sovraespressa rispetto all’adiacente tessuto tumorale e a campioni di cancro tiroideo sporadico. Studi funzionali mostrano un effetto oncosoppressore di HABP2 e perdita di funzione per la variante trovata (G534E). Viene suggerito che questa variante germinale possa essere un fattore di rischio per altri casi familiari di cancro tiroideo non midollare.

Moving CTLA-4 from the trash to recycling. Science 2015;349:377. Commento di in articolo sullo stesso fascicolo (Patients with LRBA deficiency show CTLA4 loss and immune dysregulation responsive to abatacept therapy. Pg. 436) in cui si dimostra l’efficacia della terapia con Abatacept, farmaco approvato più di 10 anni fa per l’artrite reumatoide, nei pz con una immunodeficienza da mutazioni di LRBA (MIM #614700). Nei pz con mutazione biallelica di LRBA vi è una mancata espressione della proteina LRBA. Clinicamente è caratterizzata da infezioni ricorrenti, specie respiratorie, sin dalla prima infanzia, e da patologie autoimmunitarie con porpora trombocitopenica idiopatica, anemia emolitica e malattia infiammatoria intestinale. Si dimostra che la proteina intracellulare LRBA (lipopolysaccharide-responsive and beige-like anchor protein) controlla l’espressione di CTLA-4, un recettore inibitorio immunitario, influenzando la tolleranza immunitaria verso il self. E viene chiarito il meccanismo molecolare di azione di CTLA-4, in particolare di controllo del turnover lisosomico nel linfociti T. Questo suggerisce la possibilità di terapie per altre malattie da alterazioni questo pathway, come la sindrome autoimmunitaria linfoproliferativa CHAI (MIM #616100) simile clinicamente alla malattia da difetto di LRBA e dovuta a mutazione di CTLA-4. Inoltre, interessante anche conoscere il meccanismo patogenetico di queste condizioni perché si potrebbe ricorrere a terapie meno costose, come la Clorochina o l’Idrossiclorochina che inibiscono la degradazione lisosomiale.

A comprehensive Xist interactome reveals cohesin repulsion and an RNAdirected chromosome conformation. Science 2015;349:282. Il gene Xist (long non-coding RNA, X inactive-specific transcript), che codifica un RNA non codificante di circa 17 kb, è responsabile dell’inattivazione di un cromosoma X nelle prime fasi dello sviluppo del prodotto del concepimento XX, determinandone tramite modificazioni eterocromatiniche e alterazioni strutturali il silenziamento trascrizionale. Si pensa che Xist interagisca con complessi repressivi, come PRC2 (Polycomb-Repressor Complex-2), che rende la cromatina inaccessibile ai complessi trascrizionali. Ma non si conosce l’interattoma di Xist e come operi la regolazione epigenetica, la cui conoscenza potrebbe rivelarsi utile per la terapia delle malattie XL. In questo lavoro vengono identificate molte proteine (da 80 a 200) che si legano a Xist RNA, tra queste le coesine, le condensine, alcune topoisomerasi, DNA metiltransferasi e molte altre. Si dimostra che Xist RNA agisce come impalcatura per il reclutamento di complessi repressivi (come PRC1, PRC2, ATRX, mH2A e SmcHD1) per stabilire e mantenere lo stato inattivo.  E determina inoltre una repulsione dei complessi coesinici dal cromosoma X inattivo modificando l’aspetto tridimensionale dell’intero cromosoma impedendo la conformazione cromatinica favorevole alla trascrizione. Con la delezione di Xist il cromosoma X inattivo acquisisce il legame coesinico e l’architettura del cromosoma X attivo. E infine (importante per possibile terapie per alcune malattie XL) è possibile destabilizzare il silenziamento dell’X inattivo con inibizione farmacologica di questi fattori, che potrebbe attivare un limitato numero di loci o addirittura il singolo locus.

Sulindac metabolites decrease cerebrovascular malformations in CCM3-knockout mice. PNAS 2015;112:8421 (molti AA italiani). La Malformazione cerebrale cavernosa (CCM) causa emorragie cerebrali, convulsioni e paralisi. Sono anomalie venose, da non confondersi con le malformazioni artero-venose cerebrali,  non identificabili quindi con l’arteriografia e la cui terapia è solo chirurgica. La forma genetica è dovuta a mutazioni con perdita di funzione (con probabile classico meccanismo two-hit e inattivazione biallelica germinale e somatica, OMIM) di tre diversi geni (CCM1, CCM2, CCM3). Clinicamente CCM 2 e 3 hanno gli esiti della malformazione cerebrale cavernosa (ictus emorragico, segni neurologici), mentre CCM1 oltre a questo può avere coinvolgimento retinico e cutaneo con malformazioni capillari cutanee e cerebrali (OMIM). Nel topo il fenotipo vascolare è riproducibile determinando perdita di funzione di uno di questi 3 geni a livello dell’endotelio. In questo lavoro, ricorrendo al modello murino, vengono definiti gli eventi molecolari che portano alla formazione del cavernoma vascolare. Il primo meccanismo è l’attivazione della β-catenina con successivo effetto sul segnale TGF-β/BMP responsabile della progressione della patologia. Significativo il fatto che il ricorso nel modello murino a farmaci antiinfiammatori come sulindac solfuro/sulfone attenua l’attività trascrizionale della β-catenina riducendo la malformazione vascolare. Nuove prospettive terapeutiche per i cavernomi intracranici e quindi uno stimolo per sperimentazioni terapeutiche, ricorrendo al metabolita sulfone per i suoi minori effetti collaterali.

MODELLI ANIMALI E NUOVE TERAPIE

Deafness can be reversed in mice. Nature 2015;352:259. Piu del 50% delle sordità prelinguali hanno una riconosciuta causa genetica e per questi difetti dell’udito non sono state individuati trattamenti biologici. Il commento fa riferimento ad un articolo (Tmc gene therapy restores auditory function in deaf mice. Sci Transl Med. 2015 Jul 8;7(295):295ra108)(non ho il testo ma solo l’abstract del lavoro) in cui è stata provata una terapia genica tramite un vettore virale (adenovirus) in un modello murino di una sordità da mutazione del gene Tmc1, che nell’uomo è causa del 4-8% delle ipoacusie genetiche (Sordità autosomica recessiva, DFNA7 MIM #600964 e la forma dominante DFNA36 MIM #606705). Il trattamento ha determinato la normalizzazione della trasduzione sensoriale uditiva, risposte uditive del tronco encefalico e riflesso di trasalimento (startle) acustico del topo suggerendo che è teoricamente possibile una terapia genica nell’uomo per queste malattie, insieme alla terapia convenzionale con impianto cocleare ed apparecchi acustici.


Myosin light chain phosphorylation to the rescue. PNAS 2015;112:9148. Commento di un articolo (Constitutive phosphorylation of cardiac myosin regulatory light chain prevents development of
hypertrophic cardiomyopathy in mice. PNAS 2015;112:E4138) sulla possibilità di prevenire la progressione della miocardiopatia ipertrofica genetica (HCM), nel modello murino. Nell’uomo la HCM, in gran parto dovuta ad una causa genetica, è una comune causa di insufficienza cardiaca con una significativa prevalenza (1:500 adulti) e per la quale non ci sono terapie utili. La sintomatologia varia da una lenta progressione verso l’insufficienza cardiaca alla morte improvvisa di giovani atleti nel corso di un intenso sforzo fisico. E’ geneticamente molto eterogenea (vedi MIM #192600). Buona parte dei geni della HCM codificano proteine del sarcomero. Nel lavoro si dimostra che la normalizzazione della fosforilazione della catena leggera regolatrice della miosina (RLC) evita il fenotipo HCM da mutazione di RLC.

CARATTERI-MALATTIE COMPLESSE/STUDI ASSOCIAZIONE
Meta-analysis of the heritability of human traits based on fifty years of twin studies. Nature Genetics 2015;47:702. Un secolo di studi sulle cause genetiche ed ambientali dei caratteri complessi hanno prodotto dati incerti e controversi. E i risultati delle numerose ricerche su larga scala con GWAS in molti caratteri hanno portato come risultato all’identificazione di molte varianti genetiche che però contribuiscono in quantità nettamente inferiore rispetto alla stima dell’ereditabilità (“missing heritability”, vedi selezione articoli Dic e Gen 2014: Measuring missing heritability: Inferring the contribution of common variants. PNAS 2014;111:E5272 e Searching for missing heritability: Designing rare variant association studies. PNAS on line 17 January:e455). In questo studio dell’ereditabilità in gemelli (meta-analisi di 17.804 caratteri di 2.748 pubblicazioni che includono 14.558.903 paia di gemelli) si vuole stimare empiricamente il contributo relativo genetico ed ambientale nell’uomo di tutti i caratteri studiati negli ultimi 50 anni e stimare l’evidenza empirica della presenza e dell’importanza di influenze genetiche non additive. Per buona parte dei caratteri (69%) la variazione osservata dipende dalla variazione genetica additiva. L’ereditabilità di tutti i caratteri è stimata del 49%. I risultati di questa meta-analisi delle cause delle differenze individuali dei caratteri nell’uomo sono disponibili in web (http://match.ctglab.nl/#/home).